La previdenza complementare: un supporto alla pensione garantita dalle forme di previdenza obbligatorie

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La previdenza complementare o integrativa, consiste nell’adesione facoltativa ad un fondo pensione o assicurazione privata (entrambi sia a carattere collettivo che individuale), volte ad affiancare le prestazioni previdenziali erogate al compimento dell’età pensionabile prevista nel regime pubblico obbligatorio (di norma 66 anni e 7 mesi). L’obiettivo di questa nuova formula previdenziale, nata a metà degli anni ’90, è quello di integrare l’inesorabile impoverimento della pensione pubblica a seguito delle riforme fatte negli ultimi decenni.

Il sistema contributivo in vigore dal 2011, infatti, non garantisce più rendite previdenziali adeguante ed in linea con gli stipendi percepiti dai dipendenti. Questo perché non si basa più sull’importo delle ultime retribuzioni percepite dal lavoratore ma solo da quello dei contributi effettivamente versati da datore di lavoro e dipendente nel corso dell’intera vita lavorativa di quest’ultimo.

Il sistema previdenziali complementare

L’attuale norma in vigore è il Dlgs 252/2005, ad esclusione dei dipendenti del pubblico impiego per i quali vige ancora il Dlgs 124/1993 a causa del mancato esercizio di una delega per il comparto. Il funzionamento è abbastanza semplice: Stato (tramite sgravi fiscali), datore di lavoro e dipendente, nel corso della vita lavorativa dell’interessato, accantonano in un fondo specifico somme di denaro, investite da operatori finanziari del settore, fino al momento della pensione del lavoratore stesso. La somma di denaro accantonata sino a quel momento ed il montante ottenuto dagli interessi maturati formano la rendita pensionistica complementare del dipendente.

I coefficienti assicurativi sui quali si basa il calcolo della rendita sono tre:

–  L’importo versato dal soggetto tramite contributi personali e versamento del tfr annuo

– Il contributo del datore di lavoro (quando presente)

– I tassi di interesse del fondo pensione a cui il lavoratore ha aderito

Oltre alle fonti sopra elencate, un altro elemento fondamentale che differenzia la forma di previdenza complementare da quella obbligatoria consiste proprio nel essere una scelta a totale discrezione del lavoratore, che sia esso un dipendente oppure un autonomo o libero professionista. Possono aderire a tale progetto anche tutti coloro che non svolgono alcuna attività lavorativa oppure che sono a carico di un familiare che ha già aderito ad un fondo pensione complementare.

Gli organismi

La norma vigente prevede tre tipi di forme pensionistiche integrative a cui il lavoratore può scegliere di aderire, in base alla propria condizione lavorativa:

  • Fondi pensione negoziali o chiusi: riservati esclusivamente a lavoratori facenti parte di un determinato settore lavorativo. Tali fondi sono regolati da contratti collettivi e vengono promossi dai sindacati
  • Fondi pensione aperti: destinati a tutti i dipendenti privi di fondi pensione negoziali. Essi sono regolati da fondi aperti e promossi dalle istituzioni finanziare abilitate per legge come banche, società di gestione del risparmio, di intermediazione mobiliare e assicurazioni.
  • PIP o piani individuali pensionistici: ovvero delle vere e proprie polizze assicurative individuali con finalità previdenziali. Ad essi possono aderire sia dipendenti che autonomi. Tali fondi sono promossi da compagnie assicurative, istituti di credito e da Poste Italiane.

L’adesione

L’adesione ad un fondo pensionistico integrativo è una libera scelta dell’individuo (maggiori info qui). Nel caso in cui il soggetto lavori in un settore la cui contrattazione collettiva oppure aziendale ha già individuato un determinato fondo pensione negoziale oppure aperto può decidere se aderire anch’esso a quello prescelto oppure se aderire ad un piano previdenziale diverso da quello riportato nel contratto lavorativo tramite l’adesione ad un fondo pensionistico individuali. I dipendenti pubblici hanno fondi negoziali dedicati ai quali però possono aderire solo determinate categorie. Sono esclusi infatti: i professori universitari, le forze dell’ordine ed i magistrati perché non categorizzati. Questi ultimi posso dunque rivolgersi esclusivamente a fondi pensioni individuali.