Il licenziamento per motivi economici si ha quando il datore di lavoro decide di escludere un dipendente, non per motivi disciplinari dovuti quindi al comportamento del lavoratore, ma per cause derivanti da motivi di pura organizzazione dell’impresa.
Solitamente questo tipo di licenziamento si ha quando un’azienda si trova in una situazione di crisi e quindi per affrontare il problema, il datore si vede costretto a tagliare i costi per cercare di risollevare la sua impresa.
I licenziamenti per motivi economici devono però essere giustificati dal datore di lavoro. Infatti, prima di poter ricorrere a questa procedura è necessario individuare delle ragioni che siano del tutto oggettive. Tra queste ragioni troviamo sicuramente la necessità da parte del datore di dover eliminare alcuni dipendenti per affrontare un periodo di crisi, senza poterli però reimpiegare in altri tipi di attività all’interno dell’azienda. Per utilizzare questa procedura è dunque necessario provare che il lavoratore non è più utile per lo svolgimento dell’impresa e che non si tratta di semplice riorganizzazione dell’azienda.
Quindi è chiaro che si basa su due principi molto semplici: la necessità di riorganizzare l’azienda e il non possibile ricollocamento del lavoratore. Il datore di lavoro deve dare preavviso in forma scritta al suo dipendente prima di licenziarlo. Dopo di che il lavoratore ha tempo 60 giorni per impugnare la decisione.
I 60 giorni decorrono dal momento in cui il dipendente riceve la comunicazione del datore, se contiene anche le motivazioni. Altrimenti i termini partono dal momento della ricezione dei motivi che hanno portato al licenziamento. Entro 60 giorni il dipendente deve inviare la sua contestazione al suo datore di lavoro.
Una volta inviata la contestazione, entro 180 giorni, il dipendente deve presentare il ricorso alla cancelleria del Tribunale di competenza e deve comunica la sua richiesta di conciliazione o quella di arbitrato. Se non vengono rispettate le scadenze, l’impugnazione diventa nulla.
La legge Fornero ha riformato profondamente questi tipo di cessazione unilaterale del rapporto di lavoro. In particolare la riforma ha cambiato le sanzioni previste in caso in cui il datore effettui il licenziamento in maniera illegittima. Prima della riforma, le sanzioni previste erano le stesse del licenziamento disciplinare. Poi le sanzioni del licenziamento economico sono state differenziate notevolmente con la legge Fornero.
Nel caso di licenziamento per motivi economici illegittimo, il giudice può costringere il datore di lavoro a pagare un indennizzo economico. Questo indennizzo non può mai essere minore alle 4 mensilità ma nemmeno superiore alle 24 mensilità. L’indennizzo non è reddito imponibile per il lavoratore.
Il Giudice non può richiedere in nessun caso la reintegrazione del lavoratore, cosa che invece avviene per il licenziamento di tipo disciplinare. Le regole in questione valgono però per il licenziamento per motivi economici nel caso in cui l’impresa non abbia un numero di lavoratori sotto i 15 dipendenti nell’unità operativa.
Se l’azienda non raggiunge il numero di soglia, o almeno non superi i 60 dipendenti totali, allora le indennità previste sono ridotte della metà e non possono essere mai superiori alle sei mensilità.